Da oggi 25/3/2004 è vietato scaricare e scambiare film via Internet. Entra in vigore infatti il decreto legge 22/3/2004, n.72 contro la pirateria audiovisivo.
L'articolo 1 del decreto affonta la lotta alla pirateria cinematrografica via Internet e prevede un inasprimento delle pene. Per chi metta <<a disposizione del pubblico per via telematica, anche mediante programmi di condivisione di file tra utenti, un'opera cinematrografica o assimilata protetta d'autore, o parte di essa>>, ci sarà una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 1500.
Sono previste anche sanzioni penali con multe da 2500 a 15000 euro e reclusione da 6 mesi a tre anni per chi lo fa a scopo di lucro.
Per i Provider c'è l'obbligo di vigilanza.
Vietato scaricare i film da Internet
- James_tont
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Una volta tanto vince la rete e l'opposizione: cancellato il decreto Urbani
Una volta tanto la rete s'è salvata. La commissione cultura di Montecitorio cancellerà dal decreto fatto approvare in consiglio dei ministri da Giuliano Urbani le pene per chi scarica opere cinematografiche da Internet. Gli utenti dunque possono tirare un sospiro di sollievo. E con loro anche i provider, costretti nella prima versione del decreto ad un assurdo lavoro di “polizia telematica” (a loro infatti era affidato il compito di denunciare gli eventuali trasgressori).
Che il decreto ideato da Urbani fosse nato male, lo si era visto fin dall’inizio. Il provvedimento infatti era stato accantonato una prima volta dallo stesso consiglio dei ministri, bocciato dal fuoco incrociato di vari colleghi di governo (in prima fila Lunardi e Tremonti). In quell’occasione il ministro della cultura aveva protestato platealmente, arrivando a disertare la riunione a palazzo Chigi. Ottenendo che alla fine, una settimana più tardi, il suo decreto venisse approvato.
Le polemiche, tuttavia, non si sono placate. E per una volta l’opposizione ha trovato una sponda non ostile in ampi settori della maggioranza. In particolare il provvedimento è stato esplicitamente criticato dalla stessa relatrice in commissione cultura, la forzista Gabriella Carlucci.
Ecco perché alla fine il ministro si è dovuto arrendere. Il presidente della commissione, Ferdinando Adornato, ha consegnato alla capogruppo dei Ds Giovanna Grignaffini una lettera nella quale il ministro si impegna (e impegna la maggioranza) ad apportare le modifiche richieste dall’opposizione, dagli operatori e dal buon senso.
«Il governo – commenta la diessina Franca Chiaromonte – era riuscito a mettere d’accordo tutti i soggetti coinvolti, da Telecom a Wind a Fastweb. Tutti contrari al decreto». Ora l’opposizione ha annunciato il ritiro delle pregiudiziali di costituzionalità presentate in commissione. La speranza è che la maggioranza, a partire dalle audizione che si svolgeranno all’inizio della prossima settimana, voglia lavorare assieme al centrosinistra per migliorare ulteriormente un testo sgangherato. «La decisione del Governo – spiega la Chiaromonte - rappresenta un primo passo verso l'apertura di una discussione che dovrà, senza alcun dubbio, riguardare i molti altri lati deboli di questo provvedimento: l'attribuzione al dipartimento della pubblica sicurezza di poteri di indagine spettanti all'autorità giudiziaria; l uso di terminologie incoerenti con le definizioni previste dalle normative europee; l’assegnazione implicita ai provider di funzioni a carattere ispettivo che non possono certo riguardare chi svolge un'attività imprenditoriale; il rischio della violazione della privacy degli utenti di Internet e, infine, la evidente disparità di trattamento e di tutela delle opere protette dal diritto d autore».
Non è la prima volta che il governo suscita l’apprensione del popolo della Rete. A fine dicembre il consiglio dei ministri aveva approvato il così detto decreto “grande fratello” con il quale, per presunte ragioni di lotta al terrorismo, si chiedeva ai provider di conservare la corrispondenza telematica e i dati di traffico di tutti gli utenti per almeno 30 mesi. Ma anche in quel caso, dopo solo un mese, la maggioranza era stata costretta ad una precipitosa marcia indietro.
Tratto da l'Unità
Una volta tanto la rete s'è salvata. La commissione cultura di Montecitorio cancellerà dal decreto fatto approvare in consiglio dei ministri da Giuliano Urbani le pene per chi scarica opere cinematografiche da Internet. Gli utenti dunque possono tirare un sospiro di sollievo. E con loro anche i provider, costretti nella prima versione del decreto ad un assurdo lavoro di “polizia telematica” (a loro infatti era affidato il compito di denunciare gli eventuali trasgressori).
Che il decreto ideato da Urbani fosse nato male, lo si era visto fin dall’inizio. Il provvedimento infatti era stato accantonato una prima volta dallo stesso consiglio dei ministri, bocciato dal fuoco incrociato di vari colleghi di governo (in prima fila Lunardi e Tremonti). In quell’occasione il ministro della cultura aveva protestato platealmente, arrivando a disertare la riunione a palazzo Chigi. Ottenendo che alla fine, una settimana più tardi, il suo decreto venisse approvato.
Le polemiche, tuttavia, non si sono placate. E per una volta l’opposizione ha trovato una sponda non ostile in ampi settori della maggioranza. In particolare il provvedimento è stato esplicitamente criticato dalla stessa relatrice in commissione cultura, la forzista Gabriella Carlucci.
Ecco perché alla fine il ministro si è dovuto arrendere. Il presidente della commissione, Ferdinando Adornato, ha consegnato alla capogruppo dei Ds Giovanna Grignaffini una lettera nella quale il ministro si impegna (e impegna la maggioranza) ad apportare le modifiche richieste dall’opposizione, dagli operatori e dal buon senso.
«Il governo – commenta la diessina Franca Chiaromonte – era riuscito a mettere d’accordo tutti i soggetti coinvolti, da Telecom a Wind a Fastweb. Tutti contrari al decreto». Ora l’opposizione ha annunciato il ritiro delle pregiudiziali di costituzionalità presentate in commissione. La speranza è che la maggioranza, a partire dalle audizione che si svolgeranno all’inizio della prossima settimana, voglia lavorare assieme al centrosinistra per migliorare ulteriormente un testo sgangherato. «La decisione del Governo – spiega la Chiaromonte - rappresenta un primo passo verso l'apertura di una discussione che dovrà, senza alcun dubbio, riguardare i molti altri lati deboli di questo provvedimento: l'attribuzione al dipartimento della pubblica sicurezza di poteri di indagine spettanti all'autorità giudiziaria; l uso di terminologie incoerenti con le definizioni previste dalle normative europee; l’assegnazione implicita ai provider di funzioni a carattere ispettivo che non possono certo riguardare chi svolge un'attività imprenditoriale; il rischio della violazione della privacy degli utenti di Internet e, infine, la evidente disparità di trattamento e di tutela delle opere protette dal diritto d autore».
Non è la prima volta che il governo suscita l’apprensione del popolo della Rete. A fine dicembre il consiglio dei ministri aveva approvato il così detto decreto “grande fratello” con il quale, per presunte ragioni di lotta al terrorismo, si chiedeva ai provider di conservare la corrispondenza telematica e i dati di traffico di tutti gli utenti per almeno 30 mesi. Ma anche in quel caso, dopo solo un mese, la maggioranza era stata costretta ad una precipitosa marcia indietro.
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